Raspberry PI 4 e 5 per l'IIoT

IoTIIoTRaspberrySicurezza

Scopri come implementare soluzioni IIoT robuste e sicure utilizzando Raspberry Pi 4 e 5, con particolare attenzione alla gestione termica e alla sicurezza

Elementi

  • Raspberry Pi 4/5
  • Sistema di raffreddamento attivo/passivo
  • Case industriale IP65+
  • Moduli di sicurezza hardware

Tecnologie base

  • Sistemi di dissipazione termica
  • Secure Boot e Secure Element
  • Protocolli di sicurezza industriale
  • Standard IEC 62443

I Risultati

  • Gestione ottimale temperature operative
  • Protezione contro manomissioni fisiche
  • Sicurezza delle comunicazioni industriali
  • Conformità agli standard IIoT
  • Raspberry Pi 4 e 5: Dissipazione Termica e Sicurezza Informatica

    Indice

    1. Dissipazione Termica

      1. Confronto tra Raspberry Pi 4 e 5
      2. Soluzioni di raffreddamento
      3. Materiali dissipativi
      4. Problemi in ambienti industriali
    2. Sicurezza Informatica

      1. Standard di sicurezza
      2. Protezione contro la manomissione
      3. Crittografia e autenticazione
      4. Secure Boot

    La seguente pagina offre un approfondimento sulle differenze tra Raspberry Pi 4 e Raspberry Pi 5 in termini di dissipazione termica e sicurezza informatica. Ogni sezione è strutturata in sottoparagrafi chiari e concisi, lasciando spazio per immagini esplicative e tabelle riassuntive da integrare successivamente.

    Dissipazione Termica

    Confronto tra Raspberry Pi 4 e 5

    La Raspberry Pi 5 presenta consumi energetici e generazione di calore significativamente superiori rispetto alla Raspberry Pi 4. In condizioni di carico massimo, una Pi 5 può assorbire fino a ~15W, circa il doppio dei ~7,5W tipici della Pi 4 (Raspberry Pi 5 Vs Raspberry Pi 4: The Detailed Differences & Comparisons). Questo incremento di potenza si traduce in temperature operative più elevate: mentre la Pi 4 spesso riesce a mantenere le temperature sotto controllo con soluzioni passive, la Pi 5 tende a scaldare di più e richiede necessariamente un raffreddamento attivo in scenari di carico continuo per evitare il thermal throttling (Raspberry Pi 5 vs Raspberry Pi 4 Model B - Pi My Life Up). In pratica, con una Pi 4 è spesso sufficiente un piccolo dissipatore (o addirittura nessuna aggiunta in applicazioni leggere), ma la Pi 5, grazie al processore più potente (+600 MHz) e all’aumento di performance, necessita di un sistema di raffreddamento più robusto per gestire il calore extra generato (Raspberry Pi 5 vs Raspberry Pi 4 Model B - Pi My Life Up). Non a caso, il design della Raspberry Pi 5 ha introdotto un connettore dedicato a una ventola (4-pin) proprio per facilitare l’uso di sistemi di raffreddamento attivi fin da subito (Raspberry Pi 5 vs Raspberry Pi 4 Model B - Pi My Life Up).

    Soluzioni di raffreddamento

    Esistono diverse soluzioni per mantenere sotto controllo la temperatura di esercizio, suddivisibili in raffreddamento passivo e raffreddamento attivo:

    • Raffreddamento passivo: consiste nell’uso di dissipatori di calore (generalmente in metallo) e accorgimenti di design per smaltire il calore senza parti in movimento. Un dissipatore aumenta la superficie dissipante e, se ben accoppiato al chip tramite pad termici o pasta termica, può ridurre i picchi di temperatura di circa 5–10 °C (The best way to keep your cool running a Raspberry Pi 4 | Jeff Geerling). Tuttavia, senza un po’ di flusso d’aria, l’efficacia resta limitata: è importante che ci sia convezione naturale (es. fori di ventilazione nel case) o forzata, altrimenti il calore rimane intrappolato (The best way to keep your cool running a Raspberry Pi 4 | Jeff Geerling). Case in alluminio progettati ad hoc, come il noto case Flirc, funzionano essi stessi da grandi dissipatori passivi: grazie alla costruzione interamente in metallo, possono disperdere calore in modo molto efficiente – quasi al pari di soluzioni attive con ventola (The best way to keep your cool running a Raspberry Pi 4 | Jeff Geerling). Queste soluzioni sono totalmente silenziose e prive di manutenzione, ideali per molti impieghi dove un leggero aumento di temperatura è accettabile ma si vuole evitare rumore o parti mobili.

    • Raffreddamento attivo: utilizza ventole o altri dispositivi per generare un flusso d’aria o trasferire attivamente il calore. Anche una piccola ventola a 5V montata sul dissipatore o nel case può abbassare drasticamente le temperature ed evitare qualsiasi throttling termico. Ad esempio, soluzioni avanzate come il cooler a torre ICE Tower (che combina heat pipe e ventola) riescono a mantenere il processore della Raspberry Pi sotto i 50 °C anche sotto carico massimo (The best way to keep your cool running a Raspberry Pi 4 | Jeff Geerling), praticamente vicino alla temperatura ambiente (The best way to keep your cool running a Raspberry Pi 4 | Jeff Geerling). Questo evidenzia come il raffreddamento attivo possa spingere al massimo le prestazioni del dispositivo mantenendo la CPU entro range termici ideali. La contropartita è il rumore della ventola e una maggiore complessità (alimentazione della ventola, possibili guasti meccanici nel tempo). Nel caso della Raspberry Pi 5, l’uso di una ventola è fortemente consigliato per sfruttare appieno le prestazioni: come accennato, il nuovo header a 4 pin consente di collegare una ventola PWM controllata direttamente dalla scheda, modulando la velocità in base alla temperatura e mantenendo il sistema entro ~45-55 °C sotto controllo (Raspberry Pi 5 vs Raspberry Pi 4 Model B - Pi My Life Up). In sintesi, il raffreddamento attivo garantisce margini termici più ampi e stabilità anche nelle applicazioni più gravose, a fronte di un minimo ingombro e rumore aggiuntivo.

    Materiali dissipativi

    I materiali utilizzati nei dissipatori e interfacce termiche influenzano in modo significativo l’efficacia della dissipazione e le temperature operative della Raspberry Pi. I due metalli più comuni per i dissipatori sono alluminio e rame. Il rame possiede una conducibilità termica nettamente superiore (circa 231 BTU/(hr·ft⋅°F) contro i ~136 dell’alluminio, ovvero l’alluminio ha ~60% della conducibilità del rame) (Copper vs. Aluminum Heatsinks: What You Need to Know). In pratica, a parità di dimensioni, un dissipatore in rame trasferisce calore in modo più efficiente rispetto a uno in alluminio. Tuttavia, l’alluminio è molto più leggero (densità ~2700 kg/m³, circa il 30% del rame) e decisamente più economico (circa un terzo del costo del rame per volume) (Copper vs. Aluminum Heatsinks: What You Need to Know) (Copper vs. Aluminum Heatsinks: What You Need to Know). Per questo motivo la stragrande maggioranza dei dissipatori commerciali per Raspberry Pi sono in alluminio: offrono un buon compromesso tra efficacia termica, peso ridotto e basso costo. Il rame viene impiegato in soluzioni speciali o ad alte prestazioni (ad esempio alcuni kit di raffreddamento usano una base in rame a contatto con la CPU e alette in alluminio, oppure heat pipe in rame) dove ogni grado in meno è importante.

    Un altro aspetto cruciale sono i materiali termoconduttivi usati tra chip e dissipatore: pasta termica, pad termici o adesivi. Una buona interfaccia termica riduce la resistenza al passaggio di calore. Le paste termiche a base di ceramica o metallo offrono in genere una conduzione migliore rispetto ai pad adesivi pre-applicati. Ad esempio, è stato osservato che i piccoli dissipatori venduti con pad adesivo preincollato possono risultare con temperature di 5–10 °C più alte rispetto all’uso di una pasta termica non adesiva di buona qualità (How bad/good is cooling on the Raspberry pi 4?). In ambito Raspberry Pi, spesso si prediligono pad termici per praticità d’installazione (sono puliti e facili da applicare), ma per massimizzare la dissipazione conviene sostituirli o integrarli con una sottile pellicola di pasta termica ad alte prestazioni. Esistono anche materiali avanzati come i foglí di grafite pirolitica o pad in grafene, capaci di condurre il calore in piano con conduttività elevatissima (centinaia di W/mK), usati per distribuire uniformemente il calore su superfici più ampie. In sintesi, la scelta del materiale del dissipatore (rame vs alluminio) e dell’interfaccia termica (pad vs pasta vs soluzioni speciali) può influire di parecchi gradi sulle temperature operative. Per applicazioni critiche dal punto di vista termico conviene optare per dissipatori di qualità (magari con inserto in rame) e interfacce termiche ad alte prestazioni, così da assicurare la massima efficienza di raffreddamento.

    Problemi in ambienti industriali

    L’impiego di Raspberry Pi in ambienti industriali o comunque gravosi richiede considerazioni aggiuntive sulla dissipazione termica. In tali contesti, la temperatura ambientale può essere elevata (ad esempio dentro armadi elettrici non climatizzati, stabilimenti con forni, ambienti esterni sotto il sole, ecc.) e ben al di sopra dei 20-25 °C tipici di un ufficio. Occorre ricordare che la Raspberry Pi utilizza componenti elettronici di grado commerciale: ad esempio, il controller Ethernet/USB di molti modelli è qualificato solo fino a 70 °C ambientali, mentre il SoC (CPU) può operare fino a ~85 °C (How Hot Is Too Hot for Raspberry Pi? - element14 Community). In un ambiente industriale caldo, la somma di un’alta temperatura ambientale e il calore generato dal carico di lavoro sulla Pi può spingere i componenti vicino o oltre questi limiti, con rischio di throttling e possibili malfunzionamenti (How Hot Is Too Hot for Raspberry Pi? - element14 Community). Per questo, in scenari 24/7 a temperature ambiente elevate è fondamentale sovradimensionare la dissipazione: ad esempio usando dissipatori più grandi, magari collegati a chassis metallici, e prevedendo ventilazione forzata o sistemi di raffreddamento a heat pipe verso l’esterno dell’armadio. Spesso i Raspberry Pi destinati all’industria (come i Compute Module in box industriali) sono specificati per funzionare fino a ~60 °C ambiente con adeguato raffreddamento (How Hot Is Too Hot for Raspberry Pi? - element14 Community), ed è prudente mantenere margine rispetto ai limiti massimi dei chip per garantire longevità.

    Altri fattori ambientali critici sono la polvere e l’umidità. La polvere in sospensione, tipica di molti ambienti produttivi, può depositarsi sul Raspberry Pi e soprattutto nei dissipatori e ventole, riducendone l’efficacia. Uno spesso strato di polvere sulle alette di un dissipatore agisce da isolante termico, impedendo al calore di dissiparsi correttamente. Inoltre, polveri conduttive (ad esempio metalliche) potrebbero causare corto circuiti se si accumulano sulla scheda, mentre polveri oleose o umide possono accelerare la corrosione. In ambienti molto polverosi è consigliabile adottare case chiusi e filtrati: ad esempio involucri IP65 o simili, che impediscono alla polvere di entrare, oppure assicurarsi di effettuare regolari operazioni di pulizia (soffiaggio aria compressa) per rimuovere gli accumuli dai sistemi di raffreddamento. Anche l’umidità elevata e le condense rappresentano un pericolo: l’acqua (specialmente se con impurità) è conduttiva e può causare gravi cortocircuiti o danni ai componenti elettronici (humidity can damage raspberry). In ambienti a elevata umidità relativa, quando la temperatura scende (ad esempio di notte) può formarsi condensa sulla scheda. Per mitigare questo rischio, è buona prassi utilizzare contenitori sigillati non soggetti a condensa (magari con piccoli sacchetti di gel di silice all’interno per assorbire l’umidità residua). In alternativa, si può valutare un trattamento di conformal coating: una vernice protettiva applicata sul PCB della Raspberry Pi che la isola dall’umidità e previene corrosione e corto circuiti (salvo le aree di connessione). In sintesi, in ambienti industriali gravosi bisogna proteggere la Raspberry Pi sia dal caldo esterno che dagli agenti ambientali. Ciò include: dimensionare generosamente la dissipazione termica, evitare ventole se non strettamente necessarie (poiché aspirano polvere, preferendo eventualmente soluzioni passive o con scambiatori termici), usare chassis industriali certificati contro polvere e acqua, mantenere l’umidità lontana dalla scheda e prevedere manutenzione periodica (pulizia filtri/dissipatori) per garantire un funzionamento stabile e sicuro nel tempo.

    Sicurezza Informatica

    Standard di sicurezza

    Quando si impiega Raspberry Pi in contesti professionali o industriali, è importante inquadrarlo all’interno di un sistema di gestione della sicurezza informatica conforme ai principali standard internazionali, in particolare ISO/IEC 27001 e IEC 62443.

    ISO/IEC 27001 è uno standard internazionale per i Sistemi di Gestione della Sicurezza delle Informazioni (Information Security Management System, ISMS). Fornisce un quadro metodologico rigoroso per proteggere i dati sensibili e gestire la sicurezza delle informazioni in modo efficace (ISO 27001 - Information Security Management | BSI). L’adesione a ISO 27001 implica l’implementazione di politiche, procedure e controlli atti a garantire la riservatezza, integrità e disponibilità delle informazioni. In pratica, per un progetto basato su Raspberry Pi, seguire ISO 27001 significa ad esempio: definire regole di controllo accessi (fisici e logici) al dispositivo, gestire gli account utente con principi di least privilege, assicurarsi che i dati trattati sulla Pi siano adeguatamente protetti (cifratura, backup, etc.), valutare i rischi (tramite risk assessment periodici) e applicare controlli di mitigazione, il tutto documentato e sottoposto a miglioramento continuo. ISO 27001 richiede anche di tenere traccia degli incidenti di sicurezza ed effettuare audit interni ed esterni. Implementare tali normative in un contesto Raspberry Pi può voler dire, ad esempio, includere la Pi nell’inventario degli asset IT protetti, applicare aggiornamenti di sicurezza in modo regolare e avere piani di risposta nel caso la Pi venga compromessa. In sostanza, ISO 27001 aiuta a costruire un processo organizzato attorno alla sicurezza, assicurando che l’uso della Raspberry Pi non diventi un anello debole nella rete aziendale.

    IEC 62443, invece, è una famiglia di standard specificamente rivolta alla cybersecurity degli Industrial Automation and Control Systems (IACS), ovvero i sistemi di controllo industriale. Questa normativa (emanata da ISA/IEC) definisce requisiti di sicurezza dettagliati per componenti, sistemi e processi nell’automazione industriale, con l’obiettivo di proteggere impianti e macchinari da minacce informatiche. Un concetto chiave di IEC 62443 è la definizione di livelli di sicurezza (Security Levels, SL) da 0 a 4, dove SL0 indica assenza di requisiti di sicurezza e SL4 il massimo livello di protezione. Ogni livello impone una serie di controlli e misure che devono essere implementati per dichiarare un sistema conforme a quel livello (Security). Ad esempio, a livelli più alti si richiedono autenticazione robusta, crittografia end-to-end, segregazione delle reti, monitoraggio continuo, ecc. Nel contesto di una Raspberry Pi usata in applicazioni industriali (come data logger, controllore di processo, gateway IoT, ecc.), IEC 62443 fornisce le linee guida su come progettare e configurare il sistema in modo sicuro sin dalla fase di design (security by design). Implementare IEC 62443 potrebbe significare, ad esempio, suddividere la rete in zone e condotti, mettendo la Pi in una zona protetta con firewall adeguati; assicurarsi che il software sulla Pi sia sviluppato tenendo conto delle vulnerabilità note (eseguendo patch management e valutazioni delle vulnerabilità), e soddisfare requisiti tecnici come la presenza di sistemi di logging e intrusion detection appropriati. In pratica, IEC 62443 applicata al mondo Raspberry Pi porta ad adottare un’architettura “a cipolla” con più strati di difesa – concetto di defense in depth – e a verificare il raggiungimento di un determinato Security Level tramite test e certificazioni. Più alto è il livello implementato correttamente, più difficile sarà per un attaccante compromettere il sistema industriale (Security). In sintesi, mentre ISO 27001 è focalizzato sulle procedure organizzative di sicurezza delle informazioni, IEC 62443 si concentra sulle misure tecniche e di processo per la sicurezza dei sistemi industriali. Un progetto con Raspberry Pi in ambito industriale dovrebbe idealmente tenere conto di entrambi: avere sia una gestione organizzativa solida (ISO 27001) sia un’architettura tecnica robusta (IEC 62443).

    Protezione contro la manomissione

    Garantire la protezione contro la manomissione fisica (tampering) è essenziale quando le Raspberry Pi sono dispiegate in luoghi accessibili o non totalmente sotto controllo (es. postazioni remote, impianti non presidiati, ambienti pubblici). Un attore malintenzionato con accesso fisico al dispositivo potrebbe tentare di manipolarlo, sottrarre la scheda SD per clonarla, o collegare periferiche non autorizzate. Di seguito alcune buone pratiche e soluzioni anti-tampering per mitigare questi rischi:

    • Collocazione sicura: installare la Raspberry Pi in un luogo fisicamente protetto. Ideale è posizionarla in un armadio chiuso a chiave o in una zona con accesso ristretto al personale autorizzato (Best Practices for Raspberry Pi Cybersecurity in 2024). Ridurre l’accesso fisico diretto è il primo semplice passo per prevenire manomissioni.
    • Case anti-manomissione: utilizzare contenitori o telai tamper-proof. Esistono case con viti di sicurezza (ad esempio viti Torx con pin centrale) o lucchetti, e si possono aggiungere sigilli anti-manomissione adesivi sulle aperture: se qualcuno tenta di aprire il case, il sigillo si rompe evidenziando l’effrazione (Best Practices for Raspberry Pi Cybersecurity in 2024). Alcuni case di sicurezza offrono anche vantaggi termici (dissipazione) integrati, unendo protezione fisica e raffreddamento in un unico chassis robusto (Best Practices for Raspberry Pi Cybersecurity in 2024).
    • Protezione delle interfacce e della SD: per evitare manomissioni logiche via porte fisiche, si possono bloccare o sigillare le porte non utilizzate. Ad esempio, esistono piccoli lucchetti o tappi per porte USB/Ethernet, impedendo di collegare dispositivi non autorizzati (Best Practices for Raspberry Pi Cybersecurity in 2024). La scheda microSD – che contiene il sistema operativo e i dati – andrebbe resa inaccessibile: in contesti critici si può sigillare lo slot SD con resina/colla a caldo (sapendo che questo rende difficile la manutenzione), oppure optare per modelli di Pi senza SD removibile (ad es. un Compute Module con eMMC saldata).
    • Rilevazione di manomissione attiva: per scenari ad alta sicurezza, è possibile impiegare sensori anti-tamper o moduli hardware di sicurezza che rilevano intrusioni fisiche. Alcuni sistemi integrano microinterruttori che scattano se il coperchio viene aperto, oppure monitorano variazioni di luminosità, movimento o interruzione di circuiti stampati dedicati. Un esempio avanzato è il modulo di sicurezza Zymbit per Raspberry Pi, che include un “security supervisor” hardware in grado di percepire la violazione del perimetro del dispositivo e reagire (ad esempio cancellando chiavi crittografiche o spegnendo il sistema) (Security Module for Raspberry Pi - ZYMBIT). Questa tecnica di physical device integrity monitora continuamente l’integrità fisica e permette di rispondere immediatamente a tentativi di manomissione, aumentando drasticamente la difficoltà per un attaccante di accedere ai dati anche se ottenesse il dispositivo (Security Module for Raspberry Pi - ZYMBIT).
    • Stratificazione delle difese: in ottica defense-in-depth, è consigliabile combinare più livelli di protezione. Ad esempio, una Raspberry Pi in ambiente non sicuro potrebbe essere: chiusa in un box metallico sigillato, fissato a muro (per evitare asportazione), con porte inutilizzate disabilitate a livello software/hardware, e dotata internamente di un modulo secure element con funzionalità di wipe dei dati in caso di intrusione. Più barriere vengono frapposte, più tempo e risorse serviranno a un eventuale aggressore per riuscire a violarle. Idealmente, il tempo di resistenza dev’essere sufficientemente alto da far sì che l’attacco venga scoperto (es. da un controllo visivo del sigillo rotto o da un alert inviato via rete da un sensore tamper) prima che i dati vengano compromessi.

    In sintesi, la protezione contro la manomissione della Raspberry Pi richiede sia misure passive (impedire o rendere evidente l’accesso non autorizzato tramite mezzi meccanici) sia misure attive (rilevare l’intrusione e reagire). Valutare il livello di rischio fisico e implementare una combinazione adeguata di soluzioni anti-tampering è parte integrante di un deployment sicuro, soprattutto in ambito industriale/IoT dove i dispositivi possono trovarsi “sul campo” senza supervisione diretta.

    Crittografia e autenticazione

    Per proteggere i dati e prevenire accessi non autorizzati, è fondamentale implementare robuste misure di crittografia e autenticazione sulle Raspberry Pi utilizzate in ambito professionale. Di seguito, alcuni aspetti chiave:

    • Cifratura dei dati a riposo: tutti i dati sensibili memorizzati sulla Raspberry Pi dovrebbero essere cifrati. Ciò include possibilmente l’intero file system sulla microSD o unità di storage. Soluzioni come LUKS/dm-crypt permettono di criptare la partizione di root o dischi esterni, richiedendo una passphrase o una chiave per decriptare all’avvio. In caso di furto della SD, i dati risulterebbero illeggibili. Anche file o database specifici possono essere cifrati a livello applicativo. L’uso estensivo della crittografia garantisce la confidenzialità delle informazioni memorizzate, mitigando il rischio di data breach. Un buon riferimento è assicurarsi che tutte le informazioni critiche siano protette da algoritmi robusti (AES-256, ecc.) e che le chiavi siano gestite in modo sicuro. Ad esempio, una checklist di sicurezza raccomanda esplicitamente di cifrare dati, file system e anche i canali di comunicazione utilizzando strumenti consolidati (es: dm-crypt/LUKS per i dati a riposo, OpenSSL per i canali TLS) (Security Module for Raspberry Pi - ZYMBIT).

    • Cifratura delle comunicazioni e hardening di rete: quando la Raspberry Pi comunica in rete (ad esempio invia dati a un server, espone API, o è accessibile via SSH), è d’obbligo proteggere i dati in transito. Protocollo HTTPS/TLS per servizi web, SSH con chiavi robuste per accesso remoto, VPN per connessioni tra sedi: tutte queste soluzioni evitano che informazioni sensibili viaggino in chiaro e possano essere intercettate. Inoltre, l’autenticazione forte degli endpoint (ad esempio certificati X.509 mutui tra Pi e server) previene attacchi di impersonificazione (man-in-the-middle). Autenticazione significa anche gestire in modo sicuro gli accessi: disabilitare credenziali di default, usare password complesse e, meglio ancora, autenticazione a chiave pubblica (SSH key) o token hardware. La Pi dovrebbe accettare connessioni solo da client o utenti autorizzati, idealmente loggando tutti i tentativi di accesso. Un principio chiave è minimizzare i servizi esposti e consentire solo gli accessi necessari, tutti adeguatamente autenticati e criptati.

    • Secure element e gestione delle chiavi: uno dei punti critici in crittografia è la protezione delle chiavi crittografiche (ad esempio chiavi private RSA/EC usate per TLS, certificati, token JWT, ecc.). Conservare le chiavi segrete sul file system (SD card) è rischioso, perché un intruso che accedesse alla scheda potrebbe copiarle. La soluzione ottimale è utilizzare un modulo hardware di sicurezza dedicato, come ad esempio il Microchip ATECC608A, per immagazzinare e usare le chiavi in modo sicuro. Un secure element è un chip crittografico che funge da root of trust hardware: le chiavi vengono generate al suo interno e non possono essere estratte in forma plaintext. La Raspberry Pi può dialogare con tale chip (di solito via I²C) chiedendo di eseguire operazioni crittografiche (firma digitale, decrittazione, autenticazione) senza mai rivelare le chiavi segrete. L’ATECC608A, in particolare, supporta algoritmi come ECDSA, ECDH, ha un generatore di numeri casuali e memoria sicura per certificati, ed è protetto fisicamente da manomissioni (mesh di sensori sul silicio, piccoli intervalli di tensione operativa, ecc.) (Security Module for Raspberry Pi - ZYMBIT). Integrando un secure element, si può ottenere un’autenticazione basata su identità univoca del dispositivo (ogni chip ha un certificato univoco), e proteggere credenziali e dati con un livello di sicurezza molto elevato. Ad esempio, conservare le chiavi e credenziali su un elemento sicuro e non sulla SD è fortemente consigliato per aumentare la sicurezza di un progetto IoT (Security Module for Raspberry Pi - ZYMBIT). In caso di intrusione fisica o software, l’attaccante non troverebbe le chiavi sensibili nel file system. Alcuni moduli come quelli di Zymbit per Raspberry Pi combinano proprio un secure element (ATECC608) con un microcontrollore supervisor che, oltre a custodire le chiavi, può autodistruggerle se rileva manomissioni fisiche, garantendo così una protezione estrema dei segreti crittografici.

    • Autenticazione a più fattori e identità del dispositivo: in certi casi d’uso, potrebbe essere importante autenticare non solo l’utente ma anche il dispositivo Raspberry Pi stesso presso un servizio centrale. Ciò può essere ottenuto tramite certificati client univoci installati (idealmente in un secure element come sopra). Inoltre, dove possibile, implementare autenticazione a due fattori per l’accesso amministrativo alla Pi (ad esempio combinando SSH key con one-time code, oppure console seriale protetta da token) aggiunge un ulteriore ostacolo ad accessi non autorizzati.

    In definitiva, un approccio robusto a crittografia e autenticazione su Raspberry Pi comprende: cifratura dei dati locali e delle comunicazioni, protezione delle chiavi tramite hardware sicuro, e meccanismi di autenticazione forti per qualsiasi accesso o scambio. Queste misure, combinate, assicurano che i dati trattati dalla Pi rimangano riservati e integri, e che solo entità legittime possano interagire con il dispositivo o il suo output, anche in caso di compromissione parziale del sistema.

    Secure Boot

    Il secure boot è una funzionalità di sicurezza avanzata volta a garantire che all’avvio del dispositivo venga eseguito solo codice autorizzato e non manomesso. Implementare il secure boot su Raspberry Pi significa instaurare una catena di fiducia (chain of trust) che parte dal firmware di boot iniziale e procede attraverso i vari stadi di caricamento del sistema operativo, verificando ad ogni passo firme digitali o hash crittografici predefiniti. In questo modo si protegge l’integrità del sistema fin dal momento dell’accensione, impedendo ad esempio che un attaccante possa inserire una scheda SD con un sistema operativo modificato o un bootloader compromesso.

    Sulle Raspberry Pi moderne (in particolare Pi 4 e Pi 5) esiste la possibilità di abilitare una forma di secure boot sfruttando la memoria OTP (One-Time Programmable) e il bootloader programmabile presente su EEPROM. In sintesi, il processo prevede di programmare una chiave crittografica di fiducia nel dispositivo e abilitare la verifica della firma delle immagini di avvio. Ad esempio, su Raspberry Pi 4 si può impostare l’hash di una chiave pubblica nell’OTP; una volta fatto ciò, il bootloader (rilasciato da Raspberry Pi Foundation e residente in EEPROM) caricherà solo immagini di sistema che risultino firmate con la corrispondente chiave privata (How To Use Raspberry Pi Secure Boot). In modalità “signed boot” attiva, se qualcuno alterasse i file di boot (kernel, device tree, initrd) oppure cercasse di avviare un OS non firmato, la Pi rifiuterebbe di avviarsi, impedendo l’esecuzione di codice potenzialmente malevolo. La documentazione ufficiale dettaglia i passi per abilitare questa funzione: in fase di setup si genera una coppia di chiavi, si configura il tool usbboot per flashare il bootloader sicuro e fissare l’hash della chiave pubblica in OTP (operazione irreversibile), passando quindi la board in modalità Full Secure Boot. Da quel punto, qualsiasi aggiornamento di software di sistema dovrà essere firmato con la chiave privata corrispondente per poter essere eseguito (How To Use Raspberry Pi Secure Boot) (How To Use Raspberry Pi Secure Boot).

    Implementare il secure boot richiede una pianificazione attenta. Bisogna assicurarsi di mettere al sicuro la chiave privata usata per la firma (idealmente, generarla e custodirla in un HSM o secure element, per evitare che venga compromessa). Inoltre, occorre considerare come gestire gli aggiornamenti firmware: ad esempio, potrebbe essere utile prevedere un meccanismo di chain of trust che prosegua oltre il bootloader, firmando anche il kernel e persino l’applicazione user-space principale. In sistemi altamente sicuri, il secure boot spesso si combina con un measured boot: ogni fase misura (calcola un hash) della fase successiva e lo registra, ad esempio in un TPM, per poter attestare a posteriori l’integrità del processo di boot. Su Raspberry Pi, non essendoci un TPM integrato, si possono comunque inviare le misure a un server di attestazione o utilizzare un chip esterno se richiesto.

    Vale la pena sottolineare che, una volta abilitato e bloccato, il secure boot su Raspberry Pi limita le modalità di recupero: ad esempio, dopo aver programmato l’OTP con la chiave, la Pi accetterà solo boot firmati. C’è comunque una procedura di emergenza tramite recovery USB (descritta nei whitepaper ufficiali) per riportare in uno stato non sicuro caricando un particolare firmware di ripristino, ma dopo la finalizzazione (OTP “bruciata”) l’idea è rendere il sistema permanentemente vincolato a quella root of trust. Per questo è consigliato testare bene la propria catena di boot in modalità di prova prima di fondere i fusibili OTP (How To Use Raspberry Pi Secure Boot).

    In conclusione, Secure Boot su Raspberry Pi 4/5 è ottenibile e aggiunge un ulteriore livello di protezione importante contro malware persistenti e manomissioni a basso livello. Configurando correttamente questa funzionalità, ci si assicura che all’accensione della Pi parta solo software verificato e autorizzato dal proprietario, rendendo estremamente difficile per un attaccante inserire codice malevolo nel processo di boot senza essere scoperto. Integrato con le altre misure di sicurezza (crittografia, autenticazione, secure elements, ecc.), il secure boot completa un robusto schema di sicurezza end-to-end, dal power-on fino alle applicazioni in esecuzione. (How To Use Raspberry Pi Secure Boot)

    GESTIONE TERMICA INDUSTRIALE

    Implementazione di soluzioni di raffreddamento specifiche per ambienti industriali gravosi, con particolare attenzione alla protezione da polveri e temperature elevate. Utilizzo di case IP65+ con dissipazione integrata e sistemi di monitoraggio termico attivo.

    SICUREZZA AVANZATA

    Implementazione di misure di sicurezza hardware e software conformi agli standard industriali, inclusi Secure Boot, crittografia hardware tramite secure element, e protezione fisica contro le manomissioni. Gestione sicura delle chiavi e delle comunicazioni in ambiente IIoT.

    Hai un idea, un progetto, un esigenza di cambiamento ?

    Scopri come possiamo aiutarti a raggiungere risultati simili con una soluzione personalizzata per la tua azienda